Serata Fabrizio Ferraro
Fabrizio Ferraro ospite al PostMod per presentare i suoi due ultimi lavori

FABRIZIO FERRARO – WANTED+DESERT SUITE.
“Il cinema si innamorò dell’amore grazie alla luce della California. Per anni l’industria del cinema non ha apprezzato a dovere questa luce elettrizzante che pure era un oro più prezioso di quello trovato nel 1849 nella Sierra Nevada. La luce californiana si posava con grazia sui paesaggi di ogni tipo: l’oceano, i boschi, le colline, le montagne, le praterie coltivate, e col tempo persino le città. Oggi invece quella stessa luce è diventata inutile, perché ormai il linguaggio delle immagini è digitale, elettronico, computerizzato”.
David Thompson, La formula perfetta – Una storia di Hollywood.
E dalla luce si comincia, in questa doppia serata con Fabrizio Ferraro (di martedì, 18 febbraio) che viene al Postmodernissimo per parlare dei suoi ultimi due lavori, nati a distanza di poco più di un anno, Wanted e Desert suite, e girati in spazi e a latitudini completamente diverse. Il primo in una Roma deserta da Ultimo uomo della terra senza Vincent Price, ma con Chiara Caselli e Fabrizio Rongione, dentro e fuori gli spazi di Cinecittà per raccontare la distopia del presente che non distingue controllori e controllati. Il secondo a spasso per l’Europa, dalle vigne del sud della Francia, passando per Bruxelles, trovando casa e prigione, infine, su un grattacielo del De Rotterdam, il complesso avveniristico che affaccia sulle acque della Nieuwe Maas, il braccio del Reno che taglia la città olandese.
La luce si diceva, per un autore che viene dalla fotografia e dalla pellicola e che gira in digitale senza alcun lavoro di post-produzione, ma inseguendo il lampo naturale, modificando addirittura gli snodi narrativi delle sue storie per starle dietro: “Le mie storie non sono mai nette. Ho raccontato gli unwanted (Gli indesiderati d’Europa, Checkpoint Berlin) che si muovono dentro e fuori dai confini e oggi che sto provando a guardare l’altra faccia della luna, chi vive nelle prigioni trasparenti del contemporaneo, ebbene, trovo che sia la luce a darci la possibilità di credere che esista ancora una porosità. In un parco non potremmo mai dire dove finisce la luce e comincia il buio, tutto è in movimento, quello che era un momento prima non è più un attimo dopo”.
Inseguire la vita per dichiarare che il cinema è ormai predisposto per raccontarla tenendola a distanza. “Oggi, se finite su un set, vedrete che l’esistenza è espulsa. Tutto è predisposto per l’innaturale. Ci sono solo griglie che reclamano di stare dentro a dei paletti, di rispettare dei tempi, di raccontare quel fatto in uno e un solo modo stabilito molto tempo prima, chissà da chi e chissà dove”. Per questo forse guardare Wanted e Desert suite è un’esperienza senza paracadute.
“Le immagini sono tutto nel nostro lavoro, ci permettono di mettere insieme un film eppure sono la dimostrazione concreta dell’inafferrabile. Perché cambiano, nel tempo presente in cui si tenta di imprigionarle. Per questo l’unico luogo nel quale guardarle non può che essere la sala cinematografica. Il tempo della sospensione: è solo qui che quel fluire può essere osservato da chi resta seduto nel buio e nell’immobilità.” Nei film di Ferraro invece il movimento è essenziale, i suoi attori camminano tanto, camminano sempre, attraversano spazi e forse dimensioni. “Camminare è la vera sfida a un mondo che imprigiona ormai ogni nostra scelta individuale, che anche per prenotare un ristorante per la cena ci costringe a passare attraverso step, controlli, valutazioni”.
Wanted descrive una fuga attraverso l’unico set ancora in piedi a Cinecittà, una Roma antica a uso e consumo delle grandi produzioni americane: “Con la mia troupe abbiamo fatto irruzione negli studi ed è stato divertente osservare le facce stranite di chi lì ci lavora da una vita. Non erano sguardi ostili, ma sconcertati. Sembravano dire: ma che cavolo sta succedendo?”. Desert suite invece termina dentro la prigione di vetro di un appartamento. “Appartamento che si trova nel punto panoramico, nel posto più alto. L’alto e il basso sono la chiave. Guardare da sopra può dare un senso di controllo e onnipotenza, ma la vita che crediamo di controllare si svolge tutta in basso, dove puntiamo lo sguardo. Lì sta il reale.”
Due film che si chiudono in uno spazio naturale, ai margini di una vigna, con un cavallo selvaggio immobile tra gli alberi; nel cuore di un bosco, con una donna braccata dagli elicotteri, che inciampa su una radice e continua ad avanzare nel verde. La “liberazione dell’immagine”, per Ferraro, passa attraverso questi scenari senza tempo.
Testo di Simone Rossi
Fotografie di Giacomo Ficola
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