U.S. Palmese

I Manetti Bros tornano graditissimi al PostMod con il loro nuovo film

U.S. Palmese

I film dei Manetti Bros. hanno scandito il decennio del Postmodernissimo: una comparsata per ogni
uscita e anche di più perché da produttori (Mompracem) i fratelli sono anche venuti ad accompagnare le
opere altrui (Luna Gualano, Paolo Fazzini, Francesco Principini, e via così…) Eppure quest’ultima
volta (30 marzo 2025) è una data speciale perché, come stigmatizza il direttore Caldarelli, è il primo caso
di “compresenza di Marco e Antonio” al punto che – scherza il buon Giacomo – “avendoli incontrati
sempre singolarmente, mi ero convinto fossero una sola persona”.
Tutto si fa per la Palmese, la squadra del cuore dell’infanzia, per Palmi, il paese calabro della mamma, la
squadra di dilettanti che nel film acquista (grazie alla colletta dell’intera comunità) per 5 milioni di euro il
fuoriclasse francese Etienne Morville. Il resto è appunto U.S.Palmese.
Ma non è mica un film sul calcio. O ‘solo’ sul calcio. “A quanti dei presenti non interessa un cazzo del
pallone?” provoca il pubblico Marco Manetti. Si sollevano la gran parte delle braccia di una sala gremita.
“Ecco, benissimo. Il nostro obiettivo, da stasera, e dopo la visione del film, è quello di trasformarvi in
tifosi della Palmese”.
“Il film è una dichiarazione d’amore a un popolo, i parmisani, ma quando siamo andati a presentarlo da
loro eravamo molto tesi. Sono una popolazione difficile, sono polemici. Un nostro amico dice che sono un
paese che si fonda sulla controversia. Ergo, noi eravamo spaventati, ma è una storia a lieto fine questa.
Quando sui titoli di coda è apparsa la dedica a nostra madre ci siamo voltati e tutto il pubblico era in piedi.
Ci siamo emozionati: è stato bellissimo”.
Un racconto del sud Italia diverso dalla consueta cartolina dolorosa e da denuncia sociale.
“Abbiamo raccontato il sud come lo vediamo noi, in maniera positiva, sempre con uno sguardo
affascinato. Ma l’intelligenza del meridionale italiano consiste in una autocritica che porta spesso a
mettersi in relazione con la presunta efficienza dell’altrove, del nord, del resto del mondo. A volte a noi
questo punto di vista appare sbagliato e allora siamo partiti dall’idea che un calciatore multimiliardario
francese per ritrovare se stesso deve trasferirsi a Palmi”.
Poi Antonio svela come l’idea della ‘colletta di paese’ venga da un ricordo infantile: “Noi abbiamo questa
immagine impressa: una piccola cantina dove un signore vendeva vino e gazzosa, era un post partita, la
gente si lamentava della mancanza di un attaccante di peso, erano gli anni Ottanta. Un signore alzò la
mano e disse: ‘So io come risolvere la questione. Ho fatto due conti. C’accattamo a Maradona!’ Noi per
anni abbiamo pensato di fare un film che in qualche maniera premiasse quel desiderio folle e alla fine
eccolo qua”.
“Un racconto che inizialmente è a contrasto: Milano-Palmi. Ma poi tutto, piano piano, si muove verso una
sovrapposizione, verso il riconoscimento di una dinamica comune, che è quella per cui puoi ritrovare te
stesso in un posto che credevi fosse lontano da te, in totale antitesi con la tua vita. Per questo le continue
panoramiche a contrasto: metropoli e strapaese. Le abitudini cambiano, ma l’umanità è la stessa.” Una
favola, dunque, che prende lo sport più considerato al mondo, ne denuncia il delirio di onnipotenza, lo
riconduce a una dimensione di puro piacere e per farlo non rinuncia a raccontare una partita di calcio
come una puntata di Holly e Benji. “Abbiamo scoperto che il calcio gode di un forte pregiudizio.
Tantissima gente viene da noi e ci dice: che bello questo film. E pensare che a me del pallone non frega
assolutamente niente. Ed è curioso. Perché il cinema da sempre ti porta in mondi altri. Per essere chiari:
nessuno quando vede un film su Moby Dick si stupisce di apprezzare la visione pur disinteressandosi di
pesca… Volevamo far arrivare le emozioni del calcio anche a chi se ne fotte del calcio. L’epica alla Holly e
Benji è un modo per avvicinare lo spettatore, dilatando le emozioni e coinvolgendo chiunque. Le nostre
ispirazioni vengono da Fuga per la vittoria (e l’idea che per girare il calcio servissero dei veri calciatori) e
dall’universo anime (il modo di mettere i pensieri nelle azioni, traducendo lo sport in cinema, andando
oltre l’azione stessa, in uno spazio altro).

I Manetti poi descrivono l’esperienza di girare le scene delle partite di campionato. “Premettiamo che i
giocatori (veri) della Palmese hanno sempre recitato anche la parte degli avversari, semplicemente si
scambiavano le maglie. Ma a parte questo, va detto che naturalmente tutte le azioni erano scritte a
tavolino, una specie di schema che doveva compiersi. Quello che ci ha colpito è stato che ad ogni ciak
l’azione veniva sempre compiuta perfettamente e portata in fondo senza sbavature. Abbiamo capito che la
tecnica è sopravvalutata e che a contare sopra ogni cosa è la testa.”
“Volevamo realizzare una favola credibile, un film buono ma non buonista. Il nostro finale non doveva
essere zuccheroso e finto. Se il calciatore milionario torna agli scenari internazionali, il messaggio non è
quello di una resa, non è la fine di un sogno. Semmai l’idea è quella di mostrare il mondo così com’è, ma
di prevedere anche la possibilità che dentro questo mondo si possa compiere uno sforzo in più, un gesto
ulteriore, restituendo indietro una parte di felicità, compiendo uno sforzo di speranza.”
U.S.Palmese è nelle parole del suo protagonista Rocco Papaleo. Lo spiega Antonio: “Questo film è come
uno specchio. Fa vedere al sud quanto è bello. Già questo è qualcosa di diverso. Nel cinema italiano è
sempre rappresentato come un luogo dal quale fuggire e senza speranza. Qui invece proviamo a
riconoscerci come migliori che vuol dire poi riuscire ad esserlo. Finalmente. Senza vergogna e con un
certo orgoglio”.

Testi di Simone Rossi
Report fotografico di Eros Pacini

Programmazione

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