di Simone Manetti

Ciao amore, vado a combattere

Documentario | Italia, Tailandia | 2016 | 74 min

Ciao amore, vado a combattere. Il regista Simone Manetti sarà ospite all'arena del PostModernissimo per presentare il film al pubblico di Perugia.

Chantal Ughi brilla nella Muay Thai. Ex modella, attrice, cantante e cinque volte campionessa mondiale, combatte contro gli avversari e contro i fantasmi in un corpo a corpo che non lesina pugni e calci. Perché nella vita come nella Thai Boxe tutti i colpi sono permessi. Ma non sono i colpi a ferire ma il passato che Simone Manetti risale lentamente, inesorabilmente fino alla sorgente del dolore. In un'infanzia 'battuta' affonda il cuore combattente di Chantal, che ha debuttato al cinema con Peter Del Monte, Giuseppe Piccioni e Fulvio Ottaviano prima di raggiungere New York e volgere l'attrice in cantante nella cornice della cultura musicale underground. Ma una storia d'amore sbagliata con un sassofonista paranoico la rimette in cammino, alla ricerca di un luogo in cui riparare e quietare la 'voce del sangue', la fitta che preme dall'interno, preme e preme finché non ti decidi a respirare e a neutralizzarla. Chantal accetta la sfida e sceglie l'arma, un'arte marziale convertita in sport alla fine del XX secolo. Si trasferisce in Thailandia e impara a combattere come un thailandese, piegandosi ai costumi ancestrali di una disciplina secolare marcata da un cerimoniale religioso.

Pratica culturale prima che sportiva, la Muay Thai allontana gli spiriti malvagi e aiuta i discepoli a concentrarsi, a sentirsi, a gestire le proprie emozioni e recuperare il proprio equilibrio. Il corpo sottile di Chantal si flette come un giunco per resistere meglio ai marosi della vita, il corpo intero si fa arma di attacco per sconfiggere la sorda ostilità di una relazione affettiva. Quella aurorale che il regista indaga con pudore nei corridoi di una casa borghese o nelle bobine amatoriali che documentano la Chantal bambina.

Lontana dall'idea di spensieratezza che trapela dagli home movie, liturgia dell'autorappresentazione che una famiglia borghese prova a dare di sé, Chantal coltiva una vita ascetica e impara a controllare il dolore, la fatica, le frustrazioni. La Muay Thai è una 'filosofia' che informa il corpo e lo spirito partecipando all'impegno di fiorire il fondamento del buddismo. Disciplina faro della Thailandia, la boxe permette a Chantal di mettersi a nudo e a Manetti di metterne a nudo le linee portanti. La boxe costituisce lo spazio di messa in scena di un corpo, la silhouette fragile e scultorea di una donna che incarna la tenacità, che rimanda ai valori buddisti, che ricaccia le ombre.

Bastione di grazia, Chantal aspira a un'evoluzione spirituale che la trascenda. Sul ring come nella vita la fighter di Manetti esibisce distacco costante e coraggio, perché è su questi criteri che la decisione dell'arbitro viene presa, perché è "da questi dettagli che si giudica un giocatore".

Ritratto dolente e intraducibile, Ciao amore, vado a combattere accorda un'esistenza e un'arte che ha in sé qualcosa di fondamentale: la realtà coi suoi spasimi, il sangue, il sudore, l'imprevedibilità, il simbolismo della danza, la concretezza della vita. Ha ragione Simone Manetti, merita di essere raccontata la storia di Chantal Ughi e di raccomandarne caldamente la visione. Ciao amore, vado a combattere è un atto d'amore, una storia tutta privata e familiare che riesce a coinvolgere spettatori lontanissimi da quel mondo e diventare di fatto una storia di tutti.

Dentro le immagini di Manetti c'è un patrimonio straordinario, c'è qualcosa che va oltre la storia intima di Chantal e che ha a che fare con la natura stessa del cinema. Ciao amore, vado a combattere documenta e testimonia (nelle immagini riprese da Chantal durante i suoi anni a New York e a Bangkok) ma al contempo mette in scena, trasforma la vita in rappresentazione. Alle immagini si accompagna la 'colonna verbale', le parole (poche) di Chantal che rivelano dietro il corpo atletico un sentimento di inadeguatezza. Un sentimento atavico e un desiderio di amore che deborda da questa parte dello schermo e dentro l'epilogo. Chantal resta lì, davanti alla camera sola e salda in posizione di guardia. Impossibilitata a comunicare qualcosa di sé e del suo senso a chi ha abdicato l'esercizio della genitorialità. Sopra al ring e giù dal ring combatte irriducibile quella manifestazione di pura negazione repressiva. Lo fa senza rumore, alzando i pugni a coprire le parti più sensibili ai colpi. A 'riparare' dove fa più male

Chantal Ughi brilla nella Muay Thai. Ex modella, attrice, cantante e cinque volte campionessa mondiale, combatte contro gli avversari e contro i fantasmi in un corpo a corpo che non lesina pugni e calci. Perché nella vita come nella Thai Boxe tutti i colpi sono permessi. Ma non sono i colpi a ferire ma il passato che Simone Manetti risale lentamente, inesorabilmente fino alla sorgente del dolore. In un'infanzia 'battuta' affonda il cuore combattente di Chantal, che ha debuttato al cinema con Peter Del Monte, Giuseppe Piccioni e Fulvio Ottaviano prima di raggiungere New York e volgere l'attrice in cantante nella cornice della cultura musicale underground. Ma una storia d'amore sbagliata con un sassofonista paranoico la rimette in cammino, alla ricerca di un luogo in cui riparare e quietare la 'voce del sangue', la fitta che preme dall'interno, preme e preme finché non ti decidi a respirare e a neutralizzarla. Chantal accetta la sfida e sceglie l'arma, un'arte marziale convertita in sport alla fine del XX secolo. Si trasferisce in Thailandia e impara a combattere come un thailandese, piegandosi ai costumi ancestrali di una disciplina secolare marcata da un cerimoniale religioso.

Pratica culturale prima che sportiva, la Muay Thai allontana gli spiriti malvagi e aiuta i discepoli a concentrarsi, a sentirsi, a gestire le proprie emozioni e recuperare il proprio equilibrio. Il corpo sottile di Chantal si flette come un giunco per resistere meglio ai marosi della vita, il corpo intero si fa arma di attacco per sconfiggere la sorda ostilità di una relazione affettiva. Quella aurorale che il regista indaga con pudore nei corridoi di una casa borghese o nelle bobine amatoriali che documentano la Chantal bambina.

Lontana dall'idea di spensieratezza che trapela dagli home movie, liturgia dell'autorappresentazione che una famiglia borghese prova a dare di sé, Chantal coltiva una vita ascetica e impara a controllare il dolore, la fatica, le frustrazioni. La Muay Thai è una 'filosofia' che informa il corpo e lo spirito partecipando all'impegno di fiorire il fondamento del buddismo. Disciplina faro della Thailandia, la boxe permette a Chantal di mettersi a nudo e a Manetti di metterne a nudo le linee portanti. La boxe costituisce lo spazio di messa in scena di un corpo, la silhouette fragile e scultorea di una donna che incarna la tenacità, che rimanda ai valori buddisti, che ricaccia le ombre.

Bastione di grazia, Chantal aspira a un'evoluzione spirituale che la trascenda. Sul ring come nella vita la fighter di Manetti esibisce distacco costante e coraggio, perché è su questi criteri che la decisione dell'arbitro viene presa, perché è "da questi dettagli che si giudica un giocatore".

Ritratto dolente e intraducibile, Ciao amore, vado a combattere accorda un'esistenza e un'arte che ha in sé qualcosa di fondamentale: la realtà coi suoi spasimi, il sangue, il sudore, l'imprevedibilità, il simbolismo della danza, la concretezza della vita. Ha ragione Simone Manetti, merita di essere raccontata la storia di Chantal Ughi e di raccomandarne caldamente la visione. Ciao amore, vado a combattere è un atto d'amore, una storia tutta privata e familiare che riesce a coinvolgere spettatori lontanissimi da quel mondo e diventare di fatto una storia di tutti.

Dentro le immagini di Manetti c'è un patrimonio straordinario, c'è qualcosa che va oltre la storia intima di Chantal e che ha a che fare con la natura stessa del cinema. Ciao amore, vado a combattere documenta e testimonia (nelle immagini riprese da Chantal durante i suoi anni a New York e a Bangkok) ma al contempo mette in scena, trasforma la vita in rappresentazione. Alle immagini si accompagna la 'colonna verbale', le parole (poche) di Chantal che rivelano dietro il corpo atletico un sentimento di inadeguatezza. Un sentimento atavico e un desiderio di amore che deborda da questa parte dello schermo e dentro l'epilogo. Chantal resta lì, davanti alla camera sola e salda in posizione di guardia. Impossibilitata a comunicare qualcosa di sé e del suo senso a chi ha abdicato l'esercizio della genitorialità. Sopra al ring e giù dal ring combatte irriducibile quella manifestazione di pura negazione repressiva. Lo fa senza rumore, alzando i pugni a coprire le parti più sensibili ai colpi. A 'riparare' dove fa più male

Chantal Ughi brilla nella Muay Thai. Ex modella, attrice, cantante e cinque volte campionessa mondiale, combatte contro gli avversari e contro i fantasmi in un corpo a corpo che non lesina pugni e calci. Perché nella vita come nella Thai Boxe tutti i colpi sono permessi. Ma non sono i colpi a ferire ma il passato che Simone Manetti risale lentamente, inesorabilmente fino alla sorgente del dolore. In un'infanzia 'battuta' affonda il cuore combattente di Chantal, che ha debuttato al cinema con Peter Del Monte, Giuseppe Piccioni e Fulvio Ottaviano prima di raggiungere New York e volgere l'attrice in cantante nella cornice della cultura musicale underground. Ma una storia d'amore sbagliata con un sassofonista paranoico la rimette in cammino, alla ricerca di un luogo in cui riparare e quietare la 'voce del sangue', la fitta che preme dall'interno, preme e preme finché non ti decidi a respirare e a neutralizzarla. Chantal accetta la sfida e sceglie l'arma, un'arte marziale convertita in sport alla fine del XX secolo. Si trasferisce in Thailandia e impara a combattere come un thailandese, piegandosi ai costumi ancestrali di una disciplina secolare marcata da un cerimoniale religioso.

Pratica culturale prima che sportiva, la Muay Thai allontana gli spiriti malvagi e aiuta i discepoli a concentrarsi, a sentirsi, a gestire le proprie emozioni e recuperare il proprio equilibrio. Il corpo sottile di Chantal si flette come un giunco per resistere meglio ai marosi della vita, il corpo intero si fa arma di attacco per sconfiggere la sorda ostilità di una relazione affettiva. Quella aurorale che il regista indaga con pudore nei corridoi di una casa borghese o nelle bobine amatoriali che documentano la Chantal bambina.

Lontana dall'idea di spensieratezza che trapela dagli home movie, liturgia dell'autorappresentazione che una famiglia borghese prova a dare di sé, Chantal coltiva una vita ascetica e impara a controllare il dolore, la fatica, le frustrazioni. La Muay Thai è una 'filosofia' che informa il corpo e lo spirito partecipando all'impegno di fiorire il fondamento del buddismo. Disciplina faro della Thailandia, la boxe permette a Chantal di mettersi a nudo e a Manetti di metterne a nudo le linee portanti. La boxe costituisce lo spazio di messa in scena di un corpo, la silhouette fragile e scultorea di una donna che incarna la tenacità, che rimanda ai valori buddisti, che ricaccia le ombre.

Bastione di grazia, Chantal aspira a un'evoluzione spirituale che la trascenda. Sul ring come nella vita la fighter di Manetti esibisce distacco costante e coraggio, perché è su questi criteri che la decisione dell'arbitro viene presa, perché è "da questi dettagli che si giudica un giocatore".

Ritratto dolente e intraducibile, Ciao amore, vado a combattere accorda un'esistenza e un'arte che ha in sé qualcosa di fondamentale: la realtà coi suoi spasimi, il sangue, il sudore, l'imprevedibilità, il simbolismo della danza, la concretezza della vita. Ha ragione Simone Manetti, merita di essere raccontata la storia di Chantal Ughi e di raccomandarne caldamente la visione. Ciao amore, vado a combattere è un atto d'amore, una storia tutta privata e familiare che riesce a coinvolgere spettatori lontanissimi da quel mondo e diventare di fatto una storia di tutti.

Dentro le immagini di Manetti c'è un patrimonio straordinario, c'è qualcosa che va oltre la storia intima di Chantal e che ha a che fare con la natura stessa del cinema. Ciao amore, vado a combattere documenta e testimonia (nelle immagini riprese da Chantal durante i suoi anni a New York e a Bangkok) ma al contempo mette in scena, trasforma la vita in rappresentazione. Alle immagini si accompagna la 'colonna verbale', le parole (poche) di Chantal che rivelano dietro il corpo atletico un sentimento di inadeguatezza. Un sentimento atavico e un desiderio di amore che deborda da questa parte dello schermo e dentro l'epilogo. Chantal resta lì, davanti alla camera sola e salda in posizione di guardia. Impossibilitata a comunicare qualcosa di sé e del suo senso a chi ha abdicato l'esercizio della genitorialità. Sopra al ring e giù dal ring combatte irriducibile quella manifestazione di pura negazione repressiva. Lo fa senza rumore, alzando i pugni a coprire le parti più sensibili ai colpi. A 'riparare' dove fa più male

Dettagli

Titolo Originale
Goodbye darling, I'm off to fight
Anno
2016
Regia
Simone Manetti
Durata
74 min
Genere
Documentario
Distribuzione
I Wonder Pictures
Colore
colore
Cast
Chantal Ughi, Andrew Robert Thomson, Anissa Meksen, Benoit Mateu

Trailer

Logo PostMod News

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla PostMod News e ricevi direttamente nella tua casella email informazioni esclusive su nuove uscite, anteprime, eventi speciali e tanto altro.

Accetto laprivacy policye lacookie policydel sito.

Anonima Impresa Sociale soc. Coop. a r.l. - via del Carmine, 4 - 06122, Perugia - P.Iva 03397150545anonimaimpresasociale@pec.itCookie PolicyPrivacy Policy